Io ogni mattina mi alzo e ho ottant'anni.
I pochi, coraggiosi capelli che rimangono ancorati alla mia cute sono sottili e rovinati, gli altri vigliacchi e deboli me li ritrovo sul cuscino.
La pelle è secca e vecchia, le mani sono chiuse in un pugno di dolore e il ginocchio destro, in completa anarchia, si rifiuta di piegarsi.
In questa situazione io, ottantenne, sono quasi felice di non avere un posto in cui andare, un orario da rispettare e di poter rimanere ancora un po' a letto.
Poi, dopo aver preso le medicine ed avere trascinato le mie dure gambe fino alla cucina, scaldo il caffè e riempio lo stomaco prima che questo si accorga che è vuoto ed inizi una inutile lotta con le pilloline appena ingurgitate.
Quando sono sotto la doccia calda che mi scioglie muscoli e ossa, io ho settant'anni e provo ancora un sottile piacere nel sapere che posso fare tutto con calma e posso metterci anche venti minuti ad infilarmi i pantaloni.
Mi guardo allo specchio e mi accorgo che i quattro peli in testa sono in totale autogestione ed anche oggi non vorranno seguire le mie indicazioni quindi smetto di spazzolarmi e copro con un po' di barbatrucco il pallore che deriva dall'ennesima estate passata sotto l'ombrellone con la protezione totale.
Io ho sessant'anni ed entro in macchina stando attenta a non sforzare troppo il collo e i polsi che mi dovranno guidare fino in ufficio, non mi guardo allo specchietto perchè voglio improvvisare un sorriso da ebete che mi servirà ad evitare domande scomode tipo: "oddio stai male? cos'hai?".
Piano piano arrivo al lavoro ed ho cinquant'anni ma sento già che posso piegarmi a raccogliere le chiavi che mi cadono perchè le dita sono ancora bloccate dal freddo che c'è.
Senza nemmeno rendermene conto, durante la mattinata ho quarant'anni e poi trenta e quando ne ho venti mi ritrovo a correre senza sforzo da una stanza all'altra e a ridacchiare davanti allo specchio del bagno quando mi accorgo che i miei capelli ormai vivono di vita propria.
Per l'ora di pranzo sono una dodicenne che ha voglia di mangiare schifezze che fanno tanto male allo stomaco ma tanto bene all'umore.
Ma quando arrivano le due del pomeriggio io ho sì e no un anno e devo fare la nanna così mi accuccio sul divano, mi copro con la copertina e sto quasi per piangere dalla stanchezza ma riesco ad addormentarmi non sapendo quanti anni avrò al mio risveglio.
Potrei essere una gioiosa trentaquattrenne che riesce a preparare un'ottima cena al proprio Ometto o di nuovo una stanca ottantenne che fa fatica a distendere le gambe oppure una piccola creatura di un anno che ha ancora bisogno di fare tanta nanna.

Le mie giornate sono sempre molto interessanti.

VENTIDUEESIMA PUNTATA

Così mi ritrovo seduta su un traballante sgabello da bar (sì però qua il bar non c'è) mentre cerco di tenere in equilibrio un tazza di tè bollente e un pasticcino ipercalorico e faccio finta di non vedere tutte quelle paia di occhi che mi fissano in attesa di un racconto coinvolgente ed entusiasmante. (che ovviamente non ho).
"Cosa volete sapere di preciso? Non credo che la mia storia sia poi così diversa dalle vostre. O invece lo è?"
", dipende." interviene la tuta fucsia.
"Tu come l'hai presa?" insiste.
"Non lo so, bene direi. Sì ecco mi pare di averla presa bene."
Allora succede qualcosa che non mi aspetto e tutte quelle paia di occhi si staccano dalla mia persona e si incrociano oscillando di qua e di là mentre sento dei mugugni salire:
"Povera stella, è ancora all'inizio."
E anche:
"Questa mica l'ha capito..."
E poi:
"E ora chi glielo dice?"
Così mi spavento e poso la tazza di tè prima che mi cada rovinosamente per terra, inghiotto il boccone tutto intero e, mentre penso a cosa dire, una mano calda, morbidosa, con le unghie laccate di rosso fuoco e un po' di zucchero a velo sui polpastrelli, si appoggia sul mio ginocchio a confortarmi.
"Non è niente, davvero. Ci siamo passati tutti, sai? E' la fase della negazione, è obbligatoria in un certo senso, ti aiuta ad arrivare all'accettazione. Non guardarmi così, lo so che ti sembra che vada tutto bene e credo che, in fondo, il problema sia quello. Se dici che va tutto bene è ovvio che non hai messo ben a fuoco cosa ti è successo e, forse, fai ancora finta che non sia accaduto sul serio. Per esempio: ti sei presa un po' di malattia dal lavoro?"
"No! Ma io non ne ho bisogno, me la cavo egregiamente. E' un po' più dura ma posso farcela. E poi davvero non potrei assentarmi, davvero. Se manco un giorno..."
"Crolla il mondo, eh?"
Ironizza una ragazzetta tutta vestita di jeans.
"Lasciala stare: è nuova e spaventata. Lasciala in pace!"
Tiè, messa a posto la ragazzetta.
Mi giro d'istinto verso i capelli a spazzola, quelli che mi hanno accolto e abbracciato, ho bisogno di capire e lei lo sa:
"Sei nella fase della negazione. Poi verrà la rabbia e le altre. Non avere fretta e, soprattutto, non remare contro altrimenti la fatica è doppia."
"Lutto? Remare contro? Io non so di cosa state parlando!"
Sono in piedi adesso e tutti hanno fatto un passo indietro, qualcuno non ha il coraggio di guardarmi in faccia e la ragazzetta in jeans ha un odioso mezzo sorriso in volto.
"Il lutto di aver perso la vita di prima con tutto quello che comporta: cambiamenti, rinunce, aggiustamenti. E poi dover fare tutti quegli esami, le medicine, le visite: non remare contro, non combattere queste cose, falle e basta, poi col tempo capirai. Comunque è già un gran cosa che tu sia venuta fin qua, menomale che l'Autista ti ha convinto a scendere, ci riesce sempre alla fine, anche con i più riluttanti. Allora gente, lasciamola respirare e riprendiamo da dove ci eravamo interrotti e quindi: chi cavolo ha finito tutte le ciambelle stavolta?"
Ora non ho più tutte quelle paia di occhi addosso e posso risedermi sul traballante sgabello a pensare ai lutti e ai remi, alle ciambelle e ai quilt, agli autisti e alle tute fucsia che, sinceramente, dovrebbero essere severamente proibite a chi ha una forte dipendenza da ciambelle.

VENTUNESIMA PUNTATA

Nel giro di pochi minuti ho attorno a me una dozzina di facce sorridenti e incuriosite e, senza che io me ne accorga, stringo mani e accetto calorosi abbracci.
"Io non so cucire!"
Presa dall'imbarazzo non mi viene in mente altro da dire.
"Nemmeno io!" - Mi rassicura un signore con lo sguardo vispo e un bel paio di baffoni bianchi. - "Ma mi vogliono bene lo stesso!"
Ridacchia e io con lui.
"E' perchè porti le ciambelle con lo zucchero a velo, cosa credi?"
La ragazza con i capelli a spazzola gli dà una pacca sulla spalla.
"E io cosa posso portare?"
Chiedo, in ansia.
"Accettiamo solo roba ipercalorica qua, scegli tu."
Quello lo so fare, penso sollevata, io so cucinare o almeno lo sapevo fare, prima.
Ora sono più tranquilla e posso guardarmi intorno così noto che non ci sono aghi, filo o macchine da cucire: ma allora 'sto patchwork come cavolo si fa?
"Siamo indietro" - mi dice una signora strizzata in un'acciecante tuta da ginnastica color fucsia - "Dobbiamo ancora decidere il disegno, la stoffa e i colori. Io opto per il rosa acceso ma nessuno mi ascolta!"
Chissà perchè...
"E poi ci sono sempre le ciambelle che vanno finite e magari c'è qualcuno che ha voglia di parlare un po' di quello che gli succede...anzi c'è sempre qualcuno che ha bisogno di raccontarci qualcosa e così...siamo un po' indietro." La tuta fucsia mi ha fatto un rapido sunto della situazione.
"Dobbiamo decidere come verrà il block e come fare l'imbottitura, che tipo di cucitura usare per il quilt e come fare il bordino esterno. Quanto lavoro! Ecco solo a pensarci mi viene fame, sono già finiti i dolcetti, ragazzi?"

L'unica cosa a cui riesco a pensare io, invece, è: cosa diavolo è il BLOCK? E quanti tipi di cuciture potrà avere mai questo...QUILT? Uh Signur.
"Io non so nulla di queste cose, proprio nulla. Non so nemmeno come darvi una mano."
Le confido, imbarazzata.
Mi raggiunge la ragazza con i capelli a spazzola e mettendomi un braccio attorno alle spalle mi tranquillizza:
"Prenditi una tazza di tè e raccontaci un po' cosa dice l'entomologo, al resto ci pensiamo più tardi."

Sono proprio contenta di essere scesa dal bus.

VENTESIMA PUNTATA

Mi siedo in prima fila, incastro i piedi sotto al sedile, mi guardo attorno schiarendomi la voce e poi rispondo all'autista:
"Vorrei scendere, se si può."
"Dalla giostra? Non credo tu possa. Te l'hanno spiegata la storia per intero? Da quanto so io non puoi mica guarire e scusa se te lo dico così, senza giri di parole. Lo sai, no?"
"Intendevo scendere dal bus, se si può. Non mi sento bene e vorrei andare a casa."
"Ti passerà, fai dei bei respiri profondi, guarda avanti e lascia che io ti porti là, non te ne pentirai."
"Da come ne parla sembra che lei ci sia già stato. Mi sa dire com'è?"
"Una volta ci ho accompagnato una ragazza, fin dentro intendo. Aveva paura e non se la sentiva di entrare da sola così sono sceso un attimo e ce l'ho portata. Era la prima volta che andavo fino là, di solito vi accompagno senza scendere, voialtri. Non offenderti sai ma siete un po' tutti uguali: con quello sguardo spaurito, quell'atteggiamento da "io non sono come loro" e tanta voglia di tornarvene a casa vostra al sicuro. Poi al ritorno siete tutti felici e contenti di esserci venuti. Tutti uguali, voialtri. Senza offesa, eh!"
"No, si figuri, è che, insomma, come dire, è un po' tutto nuovo, uno non sa cosa aspettarsi."
"E non ti ci sei ancora abituata?"
"A che?"
"Al fatto che sia tutto nuovo e che non sai mai cosa aspettarti. Te ne sarai fatta un'idea di com'è, no?"
"No."
E non dico altro altrimenti bestemmio.
E non mi faccia parlare altrimenti mi altero.
E non insista perchè non è giornata.
"Un po' alla volta ti ci abituerai, è sempre così. Sarà diverso, anzi no, è già diverso. Ma diverso non vuol dire peggiore, sai. Io non so come fosse prima ma..."
"No, ecco, lei proprio non lo sa come fosse, prima. Era tutto facile, prima. Era tutto fattibile, prima. Era tutto possibile, prima. Ora è tutto peggiore e non potrebbe essere diversamente perchè è una malattia e una malattia non può essere una cosa buona, mai."
Più chiara di così.
"Ti ci vuole proprio, sai? Un po' di patchwork è quello che fa per te. Siamo arrivati. La casa è quella là: rossa con la porta a vetri. Ti passo a prendere quando finite."
Scendo, faccio qualche passo e sono già nel panico: suono? Busso? Entro e basta?
Suono.
Non funziona il campanello.
Allora busso.
La porta era già aperta e così mi ritrovo dentro a questa casa, davanti a me un lungo corridoio illuminato dal neon e su entrambi i lati ci sono almeno dieci porte.
La mia è la terza a destra e si sente un vocìo animato che viene da dentro così penso sia il caso di aprire la porta, sfoderare una dei miei migliori sorrisi da ebete e sperare di risultare simpatica a qualcuno.
"Buonasera, stavo cercando il circolo Uccìttìddì, è questo?"
Una bella ragazza con i capelli biondi a spazzola, lunghi orecchini colorati e un sorriso dolce mi viene incontro e mi stringe in un abbraccio così forte da farmi mancare il respiro e da farmi sentire, incredibilmente, bene.
"Che bello averti qui, sono contenta che ci sia anche tu stasera."
Promette bene.

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