Non gli do la soddisfazione di vedermi felice e così lo guardo nello specchietto, gli faccio i miei famosissimi e temutissimi occhi a fessura e poi mi volto verso la strada e faccio finta di dormire.
E lui, l'Autista, ridacchia (lo so) e si gode l'ennesima vittoria.
Quando è ora di scendere dal bus mi accorgo che ho freddo, anzi no, ho i brividi e mi fa male ogni singolo osso che il mio corpicione contiene quindi guardo l'ora e sono le sette di sera, è il momento della febbre. Me l'ero dimenticato o forse non avevo voglia di pensarci.
In più proprio stasera l'Ometto a casa non c'è e in queste condizioni di sicuro non riesco a farmi la cena allora è meglio che cominci ad autoconvincermi che un sano digiuno è quello che ci vuole ogni tanto.

(Dieci buona ragioni per digiunare: 1) ho i fianchi grossi - dioche fame -; 2) purifica l'organismo - sì ma dioche fame -; 3)mi cala la pancia - uh signur che fame. A questo punto ho il vuoto pneumatico in testa e l'acquolina in bocca.)

Ma poi le gambe si fanno pesanti, la porta fa fatica ad aprirsi, la testa cade in avanti e mi ritrovo, come una cretina, col giaccone ancora addosso e gli scarponi ai piedi, spalmata sul divano senza più la forza di fare nulla.
Slacciarsi le scarpe: magari più tardi.
Sbottonarsi la giacca: è proprio necessario?
Tenere la testa sollevata per evitare un ridicolo soffocamento: passo.
Mi muovo piano piano anzi striscio e struscio contro i cuscini del divano per cercare di sollevare le gambe e posizionare il mio capoccione in modo che stia su.
Però ho fame. E sete. E sonno. E in effetti immagino che quella pressione che sento nel basso ventre abbinata alla visione di cascate e fontane sia un' impellente necessità di fare la pipì.
Devo distrarmi in qualche modo così mi guardo in giro e faccio una cosa che ultimamente mi riesce tanto bene: io esco dal mio corpo e faccio finta di niente.
La cucina è a due passi e io, leggera e veloce, ci sono subito dentro, accendo la luce, attacco la cappa aspira tutto, spadello un bel sugo al pomodoro e metto su l'acqua per la pasta. Mentre sento friggere carote, sedano e cipolla lavo e centrifugo tanta di quell'insalata da far contento il Salutista Ometto e mi sento felice. Stacco qualche fogliolina di basilico da una piantina di città che cresce profumata sul mio balcone e accendo la radio perchè mi viene voglia di ballare.
Che faccio? Spaghetti? Tortiglioni? Tagliolini?
Non lo so, l'acqua deve ancora bollire e ho tutto il tempo di decidere.
Anzi, visto che posso, apro la posta che sta là sul tavolino di fronte al divano su cui giace inerme il mio inutile corpo e poi, già che ci sono, mi faccio una doccia veloce.
Certo che quando la cena è pronta c'è un profumino che avvolge tutta la mia casetta e a me viene ancora più fame così mi tuffo nel piatto di spaghetti e godo, mastico, mando giù e godo di nuovo.
Ci metto sì e no dieci minuti a mettere tutto a posto, cosa volete che sia per me che sono così veloce e leggera! Mi avanza del tempo per fare tutto quello che voglio e quasi quasi esco, chiamo un amico e vado a bermi un tè caldo in un posticino dove suonano il jazz e dove ci si sente vivi e grati di esserlo.
Quando poi rientro a casa sono sfinita, è vero, ma felice e appagata per aver potuto fare tutto quello che desideravo e, adesso sì, rientro in quella massa febbricitante e dolorante che nel frattempo mi ha aspettato sempre lì, sul divano, nella stessa identica posizione e ancora con gli scarponi addosso.
Se poi mi viene voglia di qualcosa di dolce sfrutto le mie ultime forze per infilare la mano sotto i cuscinoni e sperare che uno dei miei nipoti mi abbia lasciato qualche briciola di merenda.

"Quale superpotere vorrei avere da quando mi sono ammalata?" mi chiedi tu, intervistatore immaginario che mi fai compagnia mentre aspetto che rientri l'Ometto.
"La telecinesi, senza alcun dubbio! Lei non sa quanto può essere lontano, a volte, un telecomando..."


Seduta in un angolo osservo la scena e penso:
1) cosa avrò mai io in comune con una donna sovrappeso di mezz'età che ha un pessimo gusto nel vestirsi e che butta giù ciambelle come se fossero bricioline di pane?

2) cosa vorrà mai da me questa ragazza biondo platino dai mille orecchini che mi sorride e che vuole tranquillizzarmi?
3) cosa ci faccio io con un pennarello in mano e l'impegno a contribuire al disegno di un'enorme coperta colorata?

Allora ripenso all'inizio e ricordo l'Omone alto due metri che ha la voce squillante di un pinscher nano castrato e che firma gli assegni che mi permettono di pagare il mutuo.
Me lo ricordo in piedi, accanto alla finestra e non ha il coraggio di guardarmi in faccia mentre gli spiego che pare io sia, almeno per ora, malata e so che gli ritornano in mente parole già sentite nella sua vita e so che ha paura per me.
Sento ancora la strana sensazione di sollievo quando mi rendo conto che teme per me, per la mia salute e non per il posto di lavoro che dovrò, a volte, lasciare scoperto.
In fondo in fondo questo Omone è la prima persona che incontro nella mia nuova vita e, almeno per otto ore al giorno, posso smettere di far finta che le cose siano sempre uguali a prima.
Così quando mi siedo a metà delle scale perchè non ce la faccio posso smettere di buttarla sul relativismo cosmico ("Sto seduta qua per cambiare prospettiva sulla vita, dovresti provarci anche tu qualche volta!") e invece posso liberamente confessare che: "Non riesco a rialzarmi, mi dai una mano?"
E posso anche evitare di mentire spudoratamente quando mi addormento davanti al computer ("Pensavo ad occhi chiusi, ho grandi idee in mente, un giorno te ne parlerò!") e chiedere di poter appoggiare la testa sulla scrivania per qualche minuto.
Anche se, in effetti, stavo sviluppando una straordinaria capacità di inventare rocambolesche e fantasiose scuse (per non dire "balle") che un giorno, ne sono sicura, mi avrebbe portato ad una brillante carriera di...di qualcosa, non so bene cosa ma sicuramente illegale, proibita e, per questo motivo, molto divertente.
Non credo che l'Omone abbia molto chiara la faccenda dell'entomologo e dell'insetto ma, a dirla tutta, non è che ce l'abbia molto chiara nemmeno io.
Voglio dire: ma vi pare che ho una bestia nel sangue? (NON metaforicamente parlando, poi!)
Se ci penso a volte mi prende un pizzicorino in tutto il corpo e, diciamolo, prende anche a tutti quelli a cui lo racconto.
L'Omone, soprattutto, essendo un dichiarato ipocondriaco, non fa altro che grattarsi i polsi ogni volta che mi sta vicino e mi chiede come sto; dopo avermi costretto ad un elenco completo di sintomi ed aver dovuto ammettere che non ne ha nemmeno la metà, me lo ritrovo a vagare nei corridoii con sguardo perso e polsi arrossati dalle sue unghie.
(Come ridurre un gigante borioso ad un minuscolo omino spaventato? Aspettate che dia un colpo di tosse e lasciatevi scappare un innocente: "Anche per me è cominciato tutto così..." e poi godetevi lo spettacolo.)

Ecco, se ripenso a tutte queste cose allora mi ricordo cosa ci faccio io qua, al Circolo del Patchwork, ad annuire vistosamente ogni volta che mi rivolgono la parola, a farmi piacere questa caotica situazione di ciambelle e stoffa e a resistere alla tentazione di scappare e tornare a casa.
Ma, visto il mio proverbiale tempismo, comincio ad ambientarmi nell'esatto momento in cui la ragazzetta in blue jeans inizia a spegnere le luci e tutti recuperano i cappotti e le chiavi dell'auto.
Quando salgo sul bus, stanca e stordita, l'Autista mi guarda e ha quella faccia antipatica da "Te l'avevo detto io" che mi tocca sopportare perchè, in effetti, lui me l'aveva detto...

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