QUARTA PUNTATA

Sono seduta sulla mia poltrona preferita e guardo la televisione che è spenta e che quindi, almeno credo, si chiama “televisore”.
Il Mio Ometto incalza:
“Perché non gli hai chiesto di più? Cos’è questa storia che devi andare da un entomologo? Non sei mica una bestia!”
“Non credo, non ancora almeno. C’è qualcosa di kafkiano in tutto ciò, non credi?”
No, non crede e invece ora ha fretta:
“Siamo in ritardo per la visita. Vado a prendere la macchina, guido io.”
Ho immaginato, quindi, di salire in macchina e di sedermi al lato del passeggero, poi ho immaginato di voltarmi, sentire scricchiolare il collo, guardare l’autista e infine dirgli: andiamo dall’entomologo.
Non solo, ho anche, forse, creduto di pensare a questo:
“C’è qualcun altro là fuori che ha quello che ho io, qualunque cosa sia?”
Quindi la strada scorre e io cerco di capire se quest’idea mi consola o mi fa stare peggio: da un lato il fatto che questa malattia esista davvero, che altri l’abbiano e che esista uno specialista che la cura, la rende molto reale e io non sono certamente pronta ad accettare la mia nuova condizione.
D’altra parte però, se mi fermo a pensarci, l’idea di non essere sola, che ci sia qualcun altro con cui scambiare notizie, consigli e paure, non dev’essere male, anzi mi è quasi di conforto.
E mi capita, forse, di pensare a quanto io sia stanca, soprattutto moralmente e mi sento, forse, stupida perché so che sentirsi già stanchi all’inizio di un lungo viaggio, è, appunto, da stupidi e non so consolarmi e non so trovare una scusa.
Tutti questi pensieri mi frullano in testa e fanno tanto rumore così quando il Mio Paziente Autista mi chiede se voglio un po’ di radio, gli rispondo distrattamente:
“Ecco sì per favore, abbassa il volume perché mi scoppia la testa.”
Insiste:
“Hai pensato a cosa dirgli?”
No, invece ora penso al fatto che una volta gli autisti erano muti così i passeggeri potevano badare ai fatti loro in santa pace senza dover per forza razionalizzare ogni folle parto della mente.
“Sì certo. Potrei dirgli, per esempio, che sto…male? Eh che ne pensi?”
Io gli rispondo così.

“Devi descrivergli i sintomi, credo. Devi pensare ad un discorso, una sorta di elenco con la descrizione di quello che ti sta capitando. E poi non vorrai andartene con il dubbio di aver tralasciato qualcosa vero? Ah io non ho la minima intenzione di tornare per una seconda vista, no no!”
Nemmeno a me sfiora il pensiero di rifare questa lunga e tortuosa strada e rivivere queste spiacevoli sensazioni che ora includono, grazie alle parole del Mio Autista, la paura di dimenticare di dire qualcosa al dottore.
Avrei dovuto fare un elenco, qualche appunto o almeno avrei dovuto informarmi di più per poter fare qualche domanda ma no, non ho fatto niente di niente e ora: panico!
C’è ancora del tempo prima di arrivare (così dice il navigatore) e posso rimediare se voglio:
1)dolori alle articolazioni (io avrei fatto un elenco completo: ginocchia, polsi, gomiti, caviglie…ma il dottore, zittendomi, mi ha informato che “articolazioni” le riunisce tutte);
2)febbre (e qua ci capiamo, no?)
3)debolezza muscolare (dirò queste due parole con decisione e fermezza, in modo che risultino assolutamente sufficienti a capire cosa intendo anche perché altrimenti dovrò fare l’imbarazzante esempio di quando mi cade la testa in avanti mentre guardo la tv o di quando, durante la cena, mando giù bocconi interi perché non ho la forza di masticare. Ecco, eviterei queste umiliazioni)
4)stanchezza generale (qua la faccenda si complica, chissà se devo dirgli che durante la giornata devo fare dei “minipisoli” altrimenti la sera mi “spengo”?)
“Se gli dico “minipisoli” lui capisce?”
“Perché devi sempre usare questo linguaggio da cartone animato? Digli che devi fare delle brevi dormite durante la giornata altrimenti…”
“Mi spengo!”
Lo interrompo entusiasta: il puzzle si sta alla fine componendo!
“Ti spegni! Cosa vuol dire che ti spegni? Parla di astenia, di stanchezza, difficoltà di concentrazione e del fatto che la notte poi dormi anche 12 ore, non ci crederà mai perché non è umanamente possibile, ma tu devi farglielo presente. Insomma parla come un adulto per piacere!”
Siamo un po’ nervosetti, il Mio Autista ed Io.
Fatto sta che mi sono già dimenticata l’elenco e nel frattempo mi sono venute in mente mille altre cose ma non so come tradurle in un linguaggio da adulto.
“Per esempio come gli dico quella cosa delle tapparelle la mattina?”
“Gli dici che appena alzata dal letto non hai la forza muscolare di alzare le tapparelle di camera tua! Mica è difficile! Sentiamo, tu come glielo avresti detto?”
“Un po’ come l’ho detto a te quella volta: qualcuno deve aver manomesso il meccanismo e io non riesco a sbloccarlo!”
“Aggiungi la paranoia tra i sintomi e posso già immaginare quale sarà la diagnosi!”
“E cosa mi dici degli scalini dal garage al portoncino? Quello che succede non posso essermelo inventato!”
Ah ah! Teoria inconfutabile.
O forse no:
“Nessuno ha, nottetempo, costruito degli scalini in più dal tuo garage alla porta d’ingresso, per l’amor del cielo! A te sembrano di più perché fai fatica a fare le scale!”
Era meglio se venivo da sola.

Ho immaginato di guardare fuori dal finestrino e non riconoscere più il panorama, ho anche, forse, visto tanti alberi alti e tristi che avrei sempre, lo so, legato a queste spiacevoli sensazioni.

“Ho i referti degli esami. Parleranno loro per me. Così tu non ti vergognerai dei quello che dico e io non verrò rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Felice?”
“Ci siamo. Siamo arrivati, credo.” L’Autista ricontrolla il navigatore satellitare ma qua non funziona (ma dove mi hai portato se non funziona nemmeno il navigatore?), siamo fuori dal mondo, accerchiati dalla natura incombente e alla ricerca della casa di un entomologo.

2 commenti:

Sembra quasi una barzelletta, ma non lo è… nessuno ha manomesso il meccanismo delle tue tapparelle… sarebbe stata meglio… ma nessuno ne è responsabile… triste modo di scoprire i propri nuovi limiti…
lucie

20 luglio, 2009  

mai rinunciare a credere che sia tutto un grande scherzo e che qualcuno smetterà di divertirsi alle nostre spalle, prima o poi.
è un modo come un altro per non perdere la speranza.

La Zia Gigia

20 luglio, 2009  

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