TERZA PUNTATA

Ora sono di nuova sola così posso, purtroppo, guardare i fogli che stringo in mano e mi viene in mente che ho scelto un venerdì per andare a fare questi benedetti esami, è venerdì santo precisamente e la domenica di pasqua, durante un breve giro in bici, sono caduta.
La cosa strana e imbarazzante, è che sono praticamente caduta da ferma! Ho provato a mettere giù la gamba ma ha ceduto e non so perché il mio corpo faccia un po’ quello che gli pare ultimamente, questa cosa mi irrita parecchio.
Non è stato piacevole raccontare all’infermiera del pronto soccorso che la caviglia gonfia è dovuta ad una banale caduta dalla bici: lei non ci crede e, prima di scriverlo sul referto, me lo chiede due volte:
“Ma qualcuno le è venuto addosso? Ma andava veloce? Ma è sicura di aver fatto tutto da sola?”
Sì sono sicura, va bene? Sono un’imbranata cronica, va bene? Ho le gambe mollicce, va bene?
Si fidi, no?
Non ricordo neanche quando sono cominciati i dolori, so che ci ho messo qualche mese prima di decidermi ad andare dal dottore a dirgli che avevo bisogno di un ricostituente, di qualche vitamina o sali minerali perché stava diventando tutto un po’ troppo difficile: dall’aprire una bottiglia d’acqua, al tirare su le tapparelle la mattina, al lavarmi i capelli sotto la doccia.
Adesso ho in mano i risultati e sono seduta nella sua sala d’aspetto, reggo quei fogli come se avessi paura di perderli e mi rendo conto per la prima volta che forse è importante per me sapere cosa davvero mi stia succedendo.
Ho la mente così affollata di pensieri, voci e terrori che il tempo passa veloce, non mi serve nemmeno leggere una rivista per ingannare l’attesa, non ascolto i fastidiosi pettegolezzi di cui si riempiono la bocca gli altri pazienti: non me ne frega niente!
Ho il respiro un po’ affannato e mi rendo conto che sono in piedi molto prima che sia il mio turno, percepisco lo sguardo di alcune persone su di me, forse credono che voglia saltare la fila e non sanno che l’unica cosa che realmente vorrei fare è mollare gli esami lì e scappare.
Non c’è molto da dire ed è inutile girarci intorno: ho paura.
E’ una di quelle paure che ti bloccano il cervello e non ti danno l’opportunità di ragionarci sopra, voglio scappare ma voglio sapere, voglio rimanere ma non voglio che il dottore veda i miei esami.
Sono in tilt ed è in questa condizione che consegno il referto al medico, ovviamente ci mette una vita a leggere tutto e nel frattempo riesco a farmi i solchi con le unghie nei palmi delle mani e io non lo so ancora ma mi aspetta un futuro di solchi nelle mani.

“Non va bene.”
Sospiro.
“Non va affatto bene”
Sospiro di nuovo.
Alza la testa e mi guarda:
“C’è qualcosa che non va!”
Deglutisco.
E aspetto.
Aspetto che mi dica quanto è grave, aspetto di scoprire la natura umana di questo dottore: quanto sia un tipo apprensivo, uno di quelli che, per un raffreddore, prescrivono l’antibiotico a largo spettro e ti angosciano l’esistenza con scenari apocalittici sulle temibili conseguenze di un’influenza mal curata.
Quindi mi chiedo: sei un fifone, caro dottore?
Sei un pessimista? Forse un catastrofista?
O vedi la vita in rosa, sempre e comunque?
Dentro di me io spero che tu sia un vigliacco, un codardo che si spaventa per una stupidaggine perché in fondo è quello che io, in questo momento, vorrei avere: una stupidaggine.

“Ci vuole uno specialista”
Alla fine hai parlato.
Oh signore fa che non sia un oncologo, un ematologo o comunque uno di quelli che guardandoti in faccia sanno dirti la data precisa della tua morte.
“Ho il nome di un ottimo entomologo”
Oh Dio grazie, VIVRO’!



“Ha detto ENTOMOLOGO?”
“Sì sì, ah la ricerca ha fatto passi da gigante ultimamente!”
Passi da gigante, come no.


Il resto della conversazione è buio, non ricordo cosa sia successo, come io abbia reagito, semmai abbia avuto la prontezza di spirito di reagire ma, ripensandoci ora, credo di essere stata zitta, di aver annuito e sorriso come mi riesce tanto bene in situazioni come questa in cui, molti altri, farebbero domande sensate, richiederebbero utili informazioni o, per lo meno, ammetterebbero di avere bisogno di capire cosa sta succedendo.
Così me ne esco dallo studio del mio medico con un foglietto su cui è scritto a chiare lettere:
“Richiedesi visita entomologica urgente”
E io non so se essere più spaventata dall’ultima o dalla penultima parola.

Quello che so è che ho la testa dolente, mi tremano un po’ le gambe e sento che in mano ho un biglietto per una giostra sconosciuta su cui, anche se non ne ho voglia, mi tocca salire.

4 commenti:

ma un entomologo non è uno scienziato che studia gli insetti?

02 luglio, 2009  

sì! strano eh?
;)

la Zia

02 luglio, 2009  

Curiosa l’espressione “biglietto per una giostra” correlata all’impegnativa con dicitura URGENTE… banalizza lo stato dei fatti e l’eventuale gravità della situazione. Esprime forse la volontà di creare un parallelismo tra vita e gioco, oppure tra salute e divertimento e ci riporta quindi all’ormai nota frase “comunque vada, sarà un successo”… l’importante è partecipare… e se possibile divertirsi…
Tra le righe s’intravede però una auto-consolazione, la prima e quella forse più autentica poiché scaturisce dal profondo del cuore. Cara zia non sarà sicuramente un divertimento la tua esperienza, ma a leggerti sembra che ti abbia dato risorse interiori di una certa rilevanza… una marcia in più per partecipare a testa alta a una grande giostra il cui divertimento presenta tante incognite…una giostra su cui ahimè ti tocca propria salire… nella tua valigia sembrano esserci tutte le attrezzature per fronteggiare qualsiasi difficoltà…
Lucie

20 luglio, 2009  

valigiona pesantona...

La Zia Affaticata

20 luglio, 2009  

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