SETTIMA PUNTATA

E così noi parliamo, dialoghiamo, forse per un’ora, forse di più. Io e e il mio Dottore ci diciamo tante cose, lui usa soprattutto queste espressioni:
“E’ naturale, certo.”
Oppure:
“Me lo aspettavo.”
E anche:
“Succede sempre così.”
Così io gli racconto i fatti miei: la frizione dell’auto che improvvisamente è durissima ma che nessun meccanico vuole riparare, le serrature di casa bloccate ogni mattina, il mio sonnambulismo (dev’essere l’unica spiegazione alla stanchezza che ho la mattina) e tutto quello che in questi ultimi mesi è cambiato intorno a me.
Più lui annuisce e più io mi sento a mio agio e racconto, mentre Quel Tizio Serioso seduto accanto a me non si capacita di quello che sta succedendo: ho davvero trovato qualcuno che capisce quello che dico.
Ad un certo punto decido pure di buttare il carico e così, dopo un gran sospirone, glielo dico:
“Io ogni tanto devo fare questi minipisoli oppure mi spengo.”

E aspetto.
Aspetto.
Aspetto.
Forse non avrei dovuto dirglielo.
Forse era meglio non esagerare.
Ora ritratto.
Ora interviene il mio Amore e mi salva.


Invece il mio Dottore alza la testa dagli appunti e mi dice:
“Mi spiace. Immagino sia difficile vivere così.”

Ho creduto di non riuscire a trattenere le lacrime e di alzarmi dalla sedia per correre dietro alla scrivania ed abbracciare quell’estraneo con il camice bianco che mi ha appena dato la possibilità, finalmente, di chiedere aiuto.

Io invece raddrizzo le spalle, improvviso uno dei miei migliori sorrisi e gli dico:
“No, non creda, me la cavo benissimo. Appena questa cosa sarà passata, andrà ancora meglio.”
“Questa cosa non passerà”.
Non ha lasciato trascorrere più di cinque secondi dalla mia frase che subito ha dovuto precisare, ha dovuto puntualizzare e io mi chiedo perché non se ne poteva stare zitto.
“Ora le spiego tutto meglio ma è importante che lei capisca una cosa semplice: quello che ha non se ne andrà, non passerà. È una patologia cronica, deve imparare a conviverci.”
Adesso mi alzo e con ostentata naturalezza, come se fosse previsto e inevitabile, percorro i pochi passi che ci separano e gli stampo una sberla sulla sua capocetta e se poi mi gira brutto gli do anche un pizzicone sulla guancia da lasciargli il segno e solo a questo punto gli spiego, con calma e serenità, che lui non sa con chi sta parlando e che dovrebbe davvero pesare bene le parole prima di vomitarle fuori da quella sua boccaccia.

Io invece raddrizzo di nuovo le mie forti spalle, gli ripropongo l’ennesimo sorriso da ebete e gli comunico che:
“Non è possibile, mi creda. È solo un periodo, passerà. Io, poi, ho tanto progetti: un lavoro da portare avanti, la casa da finire, una famiglia da costruire, insomma io ho una vita da vivere, non so se capisce”.

2 commenti:

Sì... Una vita da vivere... Una VITA DA RIDIMENSIONARE, DA RIPROGRAMMARE... Una vita... le risorse sono nella valigietta magica...
Lucie

20 luglio, 2009  

questa valigia magica non ce l'hanno tutti, è vero, ma è anche vero che non tutti ne hanno bisogno, beati loro.
non sarà mica giusta sta cosa, no?

La Zia Equa.

20 luglio, 2009  

Post più recente Post più vecchio Home page

Blogger Template by Blogcrowds