QUATTORDICESIMA PUNTATA

"22!"
"15!"
"32!"
"AMBO!"
Urlo alzandomi dalla sedia e sventolando un foglietto a mo' di scheda del bingo.
Ma non ride nessuno?
Se le persone si possono giudicare dal loro grado di umorismo e ironia sono finita male, molto male.
C'è anche da dire che tutti quelli che entrano in questa stanza, la numero uno, ne escono di umore pessimo e mugugnando qualche timida protesta.
Tutto ciò non è molto incoraggiante, anzi ora che ci penso forse potrei alzarmi e magari andarmene...
"48! Ah è lei che fa la spiritosa, venga venga che fa ridere un po' anche noi."
Mentre mi alzo e faccio quei pochi passi che mi separano dalla stanza numero uno, i miei pensieri sono i seguenti:
-cosa ci faccio io qua che sono sana e non ho nulla (di solito il primo pensiero è anche quello più inutile ma ormai mi ci sono affezionata e me lo tengo);
-se corro veloce posso ancora scappare e non mi prendono (non che questo sia più utile ma mi piace l'idea di poter ancora essere in grado di muovere le gambe a mio piacimento);
-potrei davvero farli ridere e magari loro non mi farebbero del male perché lo so che stanno per farmi del male;
-mammaaaaaaaaaa
Alla fine so che entro e lascio che mi facciano tutto quello che vogliono perché, come al solito, non ho il coraggio di dire niente e quando mi chiedono:
"Le sto facendo male?"
abbozzo uno dei miei sorrisi da ebete e li rassicuro, un po' perché sono vigliacca e un po' perché penso sempre che se mi metto pure a discutere a casa non ci torno più e invece io non vedo l'ora di stare di nuovo tra le mie cose e di sentirmi al sicuro.
In fin dei conti la stanza numero uno non è differente da quelle seguenti: mi chiedono tutti di spogliarmi (cosa che ormai faccio in automatico anche davanti all'infermiera che vuole solo prendermi la pressione e che non sa come dirmi che non occorreva calare i pantaloni), mi avvertono che sentirò un leggero fastidio (il che vuol dire "dolore" nella loro lingua quindi attenzione quando omettono l'aggettivo "leggero" perché la situazione si fa pericolosa) e borbottano qualcosa che non comprendo bene ma che non credo sia nulla di buono perché hanno una faccia seria seria ed evitano di incrociare il mio sguardo. (Il mio papà mi ha sempre detto di stare attenta a quelli che non ti guardano negli occhi e il mio papà ha sempre ragione, che si sappia.)
Arrivata alla stanza 21 ho un moto di ribellione.
Lo so, non dovrei farlo ma mi viene da tornare indietro!
Tra la 15 e la 16 c'era la cucina e veniva fuori un nauseabondo odorino di latte e qualcos'altro di indefinito così non ho voluto approfittare dell'invitante offerta della signora con la cuffia di plastica:
"Senta lei se vuole il caffellatte me lo devo dire subito perché ho da fare!"
Ma arrivata alla stanza 18 mi sono resa conto che ho fame, che sono a digiuno da ieri sera e che butterei giù qualunque cosa, anche la cuffia di plastica della simpatica signora e così io ci provo a tornare un po' indietro.
Mi guardo furtiva a sinistra e a destra, mi assicuro che siano tutti distratti a procurarsi reciproco fastidio e dolore e...
"48 dove crede di andare? Indietro non si torna, bambina mia! Quel che è fatto è fatto, non piangere sul latte versato e poi quando si chiude una porta, si apre un portone! Non so se mi sono spiegato..."
"Ho fame, la prego, ho fame. Volevo solo un biscotto, un po' di tè, si può?"
"Sei nuova, vero? Mi fai quasi tenerezza ma, sai com'è, chi la fa l'aspetti, cara mia. D'altra parte il fine giustifica i mezzi quindi vedrò cosa posso fare ma acqua in bocca, d'accordo?"
Se davvero torna con qualcosa da mangiare, giuro che non riderò più di lui, anzi: ride bene chi ride ultimo...credo.
Mentre aspetto fiduciosa, squilla il cellulare:
"Dove sei?"
Una voce amica, mi viene persino da sorridere.
"Sto per entrare nella stanza numero 21, ho cominciato dalla 1. Tutti mi visitano e mi palpeggiano, è un po' fastidioso ti dirò."
"Ma devi prepararti per le Olimpiadi?"
"Forse, chi può dirlo. Comunque vedo ancora altre tre porte e se tutto va bene, fra una mezz'oretta sono libera."
Libera di andare a spalmarmi sul divano e cercare di dimenticare tutto, almeno fino alla prossima volta.

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