Una volta mi hanno detto:
“Certo che tutta questa storia della malattia l’hai presa bene!”
Sono ancora qua a pensare in che altro modo avrei potuto prenderla.
“La butti sempre in ridere, ma come fai?”
Non lo so ma a volte la butto anche in piangere, solo che non si vede.
E poi ognuno ha i suoi modi di sopravvivere, io, per esempio, quando arrivano brutte notizie, arredo.
Mi ricordo quella volta in cui mi hanno telefonato a casa per dirmi quanto grave fosse la situazione: la mia prima reazione è stata andare nella stanza degli ospiti con il metro, un foglio di carta e una matita, a prendere misure.
Visto che poi c’erano di mezzo anche i giorni di attesa del risultato degli esami, mi sono un po’, come dire, allargata, e quindi:

INPUT: telefonata con pessime notizie e attesa risultato esami
OUTPUT: un lampadario, un coffee table, una cameretta a ponte e tre mensoline color oro.

Per fortuna le notizie così brutte sono abbastanza rare, lo dico per il mio portafoglio più che per la mia salute.

Arredare per me significa che vivrò a lungo per godermi tutto quello che compro, rimarrò in questa casa anche se per arrivare all’ascensore bisogna fare una rampa di scale perché le mie gambe funzioneranno bene e sarò di nuovo in grado di avere un lavoro a tempo pieno per mantenere tutto questo.
Arredare vuol dire circondarsi di cose belle e colorate che compensino le pareti bianche degli ambulatori e di cose profumate che coprano la puzza degli ospedali.
Arredare vuol dire alzare il volume della musica per non sentire le voci dei medici e degli infermieri.
Arredare vuol dire avere tante belle cosette nuove da ammirare nelle giornate in cui non posso alzarmi dal divano.
Arredare vuol dire continuare quella vita che avevo cominciato prima e che non posso del tutto cancellare.
Arredare vuol dire che le cose da scrivere sul calendario non sono solo: “14 ottobre day-hospital ore 8, porta pipì.” Ma anche “25 ottobre arrivano mobili nuovi, sgombera cameretta”

Direi che, più che le medicine, mi ha salvato una libreria in wengè.

QUATTORDICESIMA PUNTATA

"22!"
"15!"
"32!"
"AMBO!"
Urlo alzandomi dalla sedia e sventolando un foglietto a mo' di scheda del bingo.
Ma non ride nessuno?
Se le persone si possono giudicare dal loro grado di umorismo e ironia sono finita male, molto male.
C'è anche da dire che tutti quelli che entrano in questa stanza, la numero uno, ne escono di umore pessimo e mugugnando qualche timida protesta.
Tutto ciò non è molto incoraggiante, anzi ora che ci penso forse potrei alzarmi e magari andarmene...
"48! Ah è lei che fa la spiritosa, venga venga che fa ridere un po' anche noi."
Mentre mi alzo e faccio quei pochi passi che mi separano dalla stanza numero uno, i miei pensieri sono i seguenti:
-cosa ci faccio io qua che sono sana e non ho nulla (di solito il primo pensiero è anche quello più inutile ma ormai mi ci sono affezionata e me lo tengo);
-se corro veloce posso ancora scappare e non mi prendono (non che questo sia più utile ma mi piace l'idea di poter ancora essere in grado di muovere le gambe a mio piacimento);
-potrei davvero farli ridere e magari loro non mi farebbero del male perché lo so che stanno per farmi del male;
-mammaaaaaaaaaa
Alla fine so che entro e lascio che mi facciano tutto quello che vogliono perché, come al solito, non ho il coraggio di dire niente e quando mi chiedono:
"Le sto facendo male?"
abbozzo uno dei miei sorrisi da ebete e li rassicuro, un po' perché sono vigliacca e un po' perché penso sempre che se mi metto pure a discutere a casa non ci torno più e invece io non vedo l'ora di stare di nuovo tra le mie cose e di sentirmi al sicuro.
In fin dei conti la stanza numero uno non è differente da quelle seguenti: mi chiedono tutti di spogliarmi (cosa che ormai faccio in automatico anche davanti all'infermiera che vuole solo prendermi la pressione e che non sa come dirmi che non occorreva calare i pantaloni), mi avvertono che sentirò un leggero fastidio (il che vuol dire "dolore" nella loro lingua quindi attenzione quando omettono l'aggettivo "leggero" perché la situazione si fa pericolosa) e borbottano qualcosa che non comprendo bene ma che non credo sia nulla di buono perché hanno una faccia seria seria ed evitano di incrociare il mio sguardo. (Il mio papà mi ha sempre detto di stare attenta a quelli che non ti guardano negli occhi e il mio papà ha sempre ragione, che si sappia.)
Arrivata alla stanza 21 ho un moto di ribellione.
Lo so, non dovrei farlo ma mi viene da tornare indietro!
Tra la 15 e la 16 c'era la cucina e veniva fuori un nauseabondo odorino di latte e qualcos'altro di indefinito così non ho voluto approfittare dell'invitante offerta della signora con la cuffia di plastica:
"Senta lei se vuole il caffellatte me lo devo dire subito perché ho da fare!"
Ma arrivata alla stanza 18 mi sono resa conto che ho fame, che sono a digiuno da ieri sera e che butterei giù qualunque cosa, anche la cuffia di plastica della simpatica signora e così io ci provo a tornare un po' indietro.
Mi guardo furtiva a sinistra e a destra, mi assicuro che siano tutti distratti a procurarsi reciproco fastidio e dolore e...
"48 dove crede di andare? Indietro non si torna, bambina mia! Quel che è fatto è fatto, non piangere sul latte versato e poi quando si chiude una porta, si apre un portone! Non so se mi sono spiegato..."
"Ho fame, la prego, ho fame. Volevo solo un biscotto, un po' di tè, si può?"
"Sei nuova, vero? Mi fai quasi tenerezza ma, sai com'è, chi la fa l'aspetti, cara mia. D'altra parte il fine giustifica i mezzi quindi vedrò cosa posso fare ma acqua in bocca, d'accordo?"
Se davvero torna con qualcosa da mangiare, giuro che non riderò più di lui, anzi: ride bene chi ride ultimo...credo.
Mentre aspetto fiduciosa, squilla il cellulare:
"Dove sei?"
Una voce amica, mi viene persino da sorridere.
"Sto per entrare nella stanza numero 21, ho cominciato dalla 1. Tutti mi visitano e mi palpeggiano, è un po' fastidioso ti dirò."
"Ma devi prepararti per le Olimpiadi?"
"Forse, chi può dirlo. Comunque vedo ancora altre tre porte e se tutto va bene, fra una mezz'oretta sono libera."
Libera di andare a spalmarmi sul divano e cercare di dimenticare tutto, almeno fino alla prossima volta.

TREDICESIMA PUNTATA

Non ci metto molto a capire dov’è l’entrata dell’ospedale: c’è una lunga fila di persone assonnate - sono le sette del mattino – che cercano di rimanere sveglie facendosi aria con i mille fogli del medico che reggono in mano, sempre attente a non far oscillare un sospetto sacchettino in cui, immagino, sia nascosta qualche provetta. Lo immagino perché anche io sono nella stessa situazione e, con un po’ di imbarazzo, ho con me la mia liquida pipì e anche la solida paura che possa tutto rovesciarsi dentro alla borsetta rendendo questa giornata una di quelle da non raccontare a nessuno, nemmeno all’Uomo che condivide ogni mio segreto.
Mi avvicino e cerco di sorridere sperando in una sorta di solidarietà tra malati ma tutto quello che ricevo sono sguardi eloquenti : “Quella è una nuova, già la odio” e inizio anche a sentire un fastidioso brusìo quindi la mia paranoia aumenta fino a quando dalla fila si sporge una Gonna Jeans che mi avverte:
“Sappiamo che è nuova quindi le do qualche consiglio così non ci fa perdere tempo: ascolti bene tutte le indicazioni che le verranno date perché non le ripetono e, per l’amor del cielo, qualunque cosa decida di fare, non torni mai indietro, ok? Mai.”
“Certo, grazie, va bene.”
Balbetto con la voce ancora rauca di chi è appena sceso dal letto.
Ma non so se me la sento di rimanere: io non sono molto brava a ricordare le cose e poi sono nervosa e finirò per fare qualche guaio e se tutti questi si mettono contro di me non ho scampo, quasi quasi mi giro e me ne vado ma…no, non posso più, ho già tre persone dietro di me e andarmene significherebbe tornare indietro e quella Gonna Jeans l’ha detto chiaro e tondo che non posso.
Quando finalmente aprono le porte e ci fanno cenno di entrare cerco di capire cosa devo fare e guardo quelli prima di me ma nessuno di loro parla ad alta voce, bisbigliano e non so mica cosa devo fare una volta che è il mio turno:
“Buongiorno, mi chiamo…”
“Tessera sanitaria e impegnativa grazie lei è il numero 48 capo veda qua che c’è una nuova è la 48 grazie passi avanti prego”
L’ha detto tutto d’un fiato e non so come ma mi ritrovo nella saletta accanto con un foglietto su cui c’è scritto “48” in inchiostro blu (che spero non sia un mal celato riferimento alla mia attuale taglia di pantaloni, grazie) quando un tizio, alto un metro e un niente e, bè non vorrei dire grasso quindi dirò “diversamente magro”, mi si avvicina, mi strappa il foglio di mano e comincia:
“Buongiorno a lei, il mattino ha l’oro in bocca, cara la mia 48. Qua non rimandiamo a domani quel che possiamo fare oggi quindi chi ha orecchie per intendere intenda, non so se mi sono spiegato. Sto per darle le istruzioni che dovrà seguire e che prenderà come oro colato. Ho la sua attenzione? Bene perché Paganini non ripete, non so se mi sono spiegato.”
Come faccio a non ridere, ma qualcuno sta sentendo quello che dice? Mi guardo intorno cercando conferma della follia a cui sto assistendo ma tutti sembrano indaffarati a prepararsi, tirare su maniche, mettere a posto fogli e cercare una sedia libera. Ma noto solo io quanto strano stia parlando quest’uomo, eh?
Niente da fare, non un cenno di comprensione.
Ehi un attimo, il tizio intanto sta parlando, devo stare attenta, ha detto qualcosa tipo “è importante che” ma io non so come continua la frase!
Ho perso un pezzo e ne sto perdendo un altro mentre sto pensando che sto perdendo un pezzo.
Ora che lo guardo bene ha anche dei baffi strani e mentre parla vanno su e giù e formano delle onde e…no, mi sto distraendo di nuovo.
Concèntrati, libera la mente e apri bene le orecchie, questo non ripeterà niente e io non so cosa sta dicendo.
“…quindi segua l’ordine delle stanze e attenda di essere chiamata. Ora firmi qui, qui e qui e chi si è visto si è visto. Non so se mi sono spiegato.”
“Perfettamente!” balbetto.
Nella mia stupidissima incoscienza mi dico che prima o poi qualcuno chiamerà il mio numero, no?

DODICESIMA PUNTATA

"Quindi è tutto qui quello che è successo? Ho perso il momento? Mi sono, come dire, deconcentrata da quello che mi stava succedendo e, ops, la bestia mi ha aggredito?"
"Non è propriamente una bestia e non userei il verbo aggredire!"
Come indispettire un tenero entomologo in un sol colpo.
"Mi scusi, intendevo l'insetto, quello che, mentre noi stiamo parlando, colonizza in simpatia nelle mie vene. Va meglio?"
"Sì e per essere più precisi si tratta di un esemplare di Mutaforma nonnunquamopportunista, un parassitoide ematofago che ... ma vedo dalla sua espressione che le sto dando fin troppe informazioni quindi diciamo che è del tutto innocuo nella maggior parte dei casi ma piuttosto, ehm, invadente in alcune situazioni. E' inutile però soffermarci sulle cause, direi invece di parlare dei prossimi esami e della terapia da intraprendere al più presto."
No, caroilmiodottore, non te la cavi così.
"Scusi un attimo, almeno mi dica dove ho sbagliato e come fare affinchè non ricapiti. Non può lasciare il discorso in sospeso!"
Vero, Ometto che stai alla mia sinistra e Futuro Padre dei Miei Figli?
Vero?
"Non credo che tu abbia fatto nulla di sbagliato, tesoro. Giusto, dottore? Sono cose che possono succedere a tutti, non hanno nulla a che fare con la volontà o l'intenzione. Solo che, forse, ora che sappiamo cos'è possiamo fare qualcosa per migliorare la situazione, o no?"
Grazie caro.
Ora gli occhi puntati sul Dottore sono quattro e chiedono la stessa cosa.
"Non mi dia poteri taumaturgici, no no!"
Ma come no? Ma allora, scusi, per cosa la pagano? Per molestare i pazienti mostrando loro foto oscene di repellenti insetti?
E continua:
"Io le posso dire quali e quante pastiglie ingurgitare al giorno e quali e quanti esami fare al mese ma il resto, mi creda, lo capirete strada facendo. Ci sarebbero dei gruppi di aiuto a cui può rivolgersi, se vuole poi glieli segno.
Ora mi lasci fare l'elenco dei farmaci che assumerà così quando ci rivedremo fra, diciamo, sei o otto mesi mi saprà dire come va."
Sei o otto mesi? Ma è un'eternità! Sarà Natale, avremo i cappotti, ci sarà neve ovunque e quei pavoni potrebbero benissimo essere schiattati nel frattempo, per non parlare dell'Anziana Signora... E' troppo tempo!
Respiro profondo, sorriso da ebete e:
"Va benissimo grazie, fra otto mesi torno e ne riparliamo."
"Ora le prenoto una giornata all'Ospedale Civile di Santa Pazienza, diciamo per la prossima settimana, le va bene?"
Come no, tanto ormai...


UNDICESIMA PUNTATA

E va bene: sediamoci, parliamone, spiegatemi queste cose che non so ma che voi due avete già così brillantemente compreso.
“Immagino che la sua vita sia abbastanza, come dire, frenetica e impegnativa vero?”
“Vuole dire che mi sono stancata troppo? Allora sì, sicuramente, ha ragione, ma posso rallentare se vuole. E’ che ho tanto da fare, tanti progetti, ho preso degli impegni e vorrei portarli a termine, non dovrò mica cancellare tutto, vero?”
“No, volevo solo che mi confermasse quello che un po’ mi è già stato raccontato mentre era fuori e che ha permesso alla malattia, alla bestia, di attecchire trovando terreno fertile.”
Tradita da un Ometto in jeans e maglietta rossa, ma cosa cacchio gli hai detto?
“Senta, io non so che idea lei si sia fatto di me ma non sono una pazza sconsiderata che si trascura, sono solo una persona che lavora molto e che si sta costruendo un futuro!”
“Non c’è nulla di male in questo, anzi, è importante avere dei progetti e questo se lo deve ricordare sempre perché ci saranno dei giorni in cui non potrà fare molto se non guardare ed aspettare e in quel momento avere dei piani, qualcosa da realizzare, la salverà dalla follia. Glielo assicuro.”
Follia, ha davvero detto follia?
Grazie, caroilmiodottore, ora mi hai ufficialmente fatto paura.

Non mi resta che cercare disperatamente di ricordarmi le parole dell’Anziana Signora :
Non lasciare mai che ti dicano come sarà il tuo domani perché nessuno lo può sapere.
Non lasciare mai che ti dicano come sarà il tuo domani perché nessuno lo può sapere.
Non lasciare mai che ti dicano come sarà il tuo domani perché nessuno lo può sapere.
Ok, ci sono di nuovo.
“Vada avanti, la ascolto.”
“Mi chiedo se lei sia una persona felice perché anche questo è un aspetto importante.”
“Bè, guardi, lo ero di sicuro prima di questa conversazione, senza offesa s’intende.”
“Ci credo, si figuri, nessuno esce di qua contento, questo lo so e non posso farci niente ma mi chiedo se lei, la mattina, si alzi felice. Provi a pensarci.”
“Ma certo, che domande!”
Sciocchino.
“Pensaci bene, ha ragione il Dottore.”
La Maglia Rossa ha parlato e tradito, di nuovo.
“Vediamo se così capite meglio: io sto cercando di costruirmi una vita felice, va bene? Sto lavorando per fare carriera, sto sistemando casa per poterci vivere bene e sto progettando di sposarmi e avere dei figli. Non si può pretendere che io sia serena e rilassata mentre faccio tutto ciò ma ci sto provando, capite? Quando avrò tutte queste cose allora sì che sarà perfetto e potrò sedermi e guardare, osservare e godermi i frutti di tutta questa fatica. Ma ho bisogno di stare bene per farlo, quindi la prego, mi faccia stare bene, non vanifichi tutto il lavoro che ho fatto finora.”
Mi giro verso il Futuro Padre dei miei figli e:
“Tu mi capisci, vero? Tu lo vedi lo sforzo che faccio per conquistare tutto quello che vogliamo per noi, vero? Tu lo sai che un giorno avremo tutto quello che desideriamo e che saremo felici, lo sai vero? Vero?”
Non ho risposta.
Allora penso che non so se c’è qualcuno in questa stanza che capisca cosa voglio dire e, francamente, a questo punto chissenfrega perché credo di aver appena realizzato quanto questi progetti siano solo miei e io non li abbia mai davvero condivisi con nessuno, nemmeno con il Futuro Padre dei miei figli che, purtroppo, in questo momento ha verso di me uno sguardo colmo di inquietudine e pena.
Ho sempre creduto che questa sensazione di aspettativa nei confronti della vita, di ricerca di nuovi obiettivi, sempre più alti, fosse fondamentale per far girare il mio ingranaggio e che mi tenesse in vita e non mi sono fai fermata a pensare che questo viaggio faticoso si potesse fare in due o addirittura, udite udite, si potesse non fare del tutto.
“Ma la casa non è finita e il lavoro non è quello che volevo e il matrimonio non è ancora stato fatto e…”
“E va bene lo stesso, va bene anche così.”
Io non lo so ancora se proprio va bene così ma, comunque sia, il Mio Dottore annuisce sorridendo e c’è un Uomo Bello e Intelligente che mi accarezza la mano.

Facciamo che per ora va bene così.

Post più recenti Post più vecchi Home page

Blogger Template by Blogcrowds