Credo di essere rimasta a bocca aperta e di aver trattenuto il fiato per svariati minuti per poi darmi una sana scrollata:
“Lei mi sta dicendo che questa bestia mi ha punto e che ora sto male?”
“No, no, assolutamente no!”
Menomale, di nuovo.
“Questo insetto lei ce l’ha nel sangue, bè a dire il vero oramai ne avrà milioni ma questi sono solo dettagli, non perdiamo di vista il vero problema.”
Ah certo perché il vero problema non è avere milioni di cloni di questa insulsa bestia ripugnante che mi scorrono nel sangue in questo momento, il problema è un altro, scema io che non ci ho pensato.
“Quello di cui stiamo parlando è la malattia che ne deriva, la patologia di cui soffre lei e per la quale è venuta da me.”
Allora mi sa che è arrivato il momento di farmi tutto un coraggio e di ascoltare quello che ha da dirmi questo tizio col camice da gelataio che guarda con occhi innamorati la fotografia di un insetto brutto e schifoso.
“Innanzitutto il nome, è buona educazione fare le presentazioni: la sua malattia si chiama U.C.T.D.”
“Uccittiddì? E cosa vuol dire?”
“E’ un acronimo, una sigla.”
So cos’è un acronimo e personalmente li odio. (ma non glielo dico, non vorrei mostrarmi troppo intollerante oltre alla faccia schifata che ho già fatto alla vista dell’insetto malefico)
“Bene, abbiamo un nome, è un inizio: se non altro significa che è una malattia conosciuta, studiata e che probabilmente c’è una cura. Vero?”
Chiede il Mio Ometto Speranzoso.
“Io userei più il termine “trattabile” che “curabile”, rende più l’idea della cronicità della patologia. Ve l’avevo detto che è cronica, vero?”
Sì, sì, grazie e magari se non me lo ripete ogni due secondi è anche meglio.
“Sì questo l’avevamo capito, ma ci sono tante altre cose da chiarire. Per esempio: cosa vuol dire esattamente U.C.T.D.?”
Il Mio Ometto si fa intraprendente.
“Dipende.”
Questa me la deve spiegare.
Anzi no, ad alta voce: “Scusi sa ma questa me la deve spiegare!”
“Il significato cambia a seconda della condizione del paziente e dello stadio della malattia. Nel suo caso direi: Unica Cura Tanta Dedizione. Ma mi creda, ci sono persone che arrivano qui già in fase: Urge Chiedere Telefonata Dio e non possiamo fare poi molto.”
Quindi mi è andata bene, giusto?
“Non so, faccia lei. Direi piuttosto che è il caso di passare subito alla fase successiva: Una Continua Trafila Diagnostica, per avere un quadro più preciso della situazione e per ricavare una conta delle colonie.”
Un brivido di orrore mi scorre addosso: ma ti pare che voglio sapere quante bestie pelose e schifose mi stanno infestando il sangue? Ma ti pare?
“Scusatemi ma ho bisogno di un po’ d’aria fresca.”
Mi manca il coraggio, lo ammetto, e poi ci sono dei pavoni fuori in giardino che in questo momento mi fanno meno paura, ma molta meno paura, di quella bestia che, apparentemente, mi scorre nelle vene.
Post più recente Post più vecchio Home page
Anonimo ha detto...
Quanto detesto gli acronimi... soprattutto quando non li conosco... s'innesca nella mia mente avida di saperi un meccanismo d'interrogativi a catena... mi perdo già in mille riflessioni quando leggo e/o ascolto qualcosa... a figurarsi quando trovo termini sconosciuti... lucie
27 luglio, 2009
La Zia ha detto...
poi succede che un giorno sei costretta ad entrare in mondo sconosciuto e tutti questi termini e nuove regole devi farle diventare familiari e quotidiane.
questione di adattamento, credo.
La Zia Flessibile.
28 luglio, 2009