E' da un po' che qualcosa non va nell'esame delle urine ma ammetto di non avergli dato mai importanza: sono stata addestrata dall'entomologo a cercare asterischi e di quelli non c'è traccia, ci sono invece dei "più" e delle sbarre con dei numeri, ma nessun allarmante asterisco e così io non mi sono, appunto, allarmata.
Poi, alla fine, è stato tutto più chiaro: un valore, in effetti, è sballato.
Il medico che ha controfirmato il referto ha scritto sotto: OK!
Ma come può essere OK un 102 quando il massimo è 18?
Da quel momento è cominciata la ricerca della causa e tutti (medici e infermieri) vogliono un po’ della mia pipì e così io piscio, diligentemente, in provette, vasetti e bidoncini, almeno una volta a settimana.
C’è stato poi un giorno in cui la mia pipì è diventata particolarmente richiesta e allora tutto è diventato alquanto folle, proprio come il resto della malattia.
Era un sabato, me lo ricordo perché, anche se sono nullafacente a causa della mia salute ballerina, sento il fine-settimana come un traguardo a cui anelare: in fin dei conti di domenica i laboratori di analisi sono chiusi e io, almeno per quel giorno, sono al sicuro.
Mi sono alzata presto perché volevo sbrigarmela entro la mattinata e consegnare il barattolone in tempo per godermi il resto del tempo in santa pace.
Con questo spirito mi presento allo sportello e con la tipica faccia da ebete di una che con la testa è già distesa sul divano a bere un tè verde e a leggere un libro, porgo il mio “bagaglio liquido” all’omino vestito da gelataio che sta dietro al bancone.
“Questa è una e l’altra dov’è?”
Tipico umorismo da infermiere, ormai lo conosco bene.

“Ehm, l’altra COSA, scusi?”
“L’altra provetta signorina, io qua leggo che me ne doveva portare due, vede?

Vabbè non importa, PER QUESTA VOLTA, vada a farla adesso, il bagno è in fondo a sinistra.”
Tralascio i lunghissimi due minuti in cui rimango a bocca aperta, incapace di formulare un qualsiasi pensiero intelligente, mentre il gelataio mi indica insistentemente la fine del corridoio.
Devo di nuovo fare pipì! Ma ne ho appena fatti due litri e non mi viene perché dopo averla fatta non ho più bevuto nulla, poi io odio farla nei bagni pubblici e da quando la devo fare a comando non mi viene più. A casa ho il trucco di aprire tutti i rubinetti, dalla cucina al bagnetto al bagno grande e così dopo qualche minuto mi viene. Sono attanagliata dal senso di colpa nei confronti dei bimbi africani che muoiono di sete, ma almeno mi viene!
Insomma mi dirigo mogia mogia verso la toilette quando mi squilla il cellulare: è l’altro laboratorio di analisi in cui faccio parte degli esami, hanno bisogno urgentemente di un campione di urina, i risultati dell’ultimo test sono allarmanti e vogliono ripeterli subito.
E quindi eccomi qui: sono seduta sul pavimento del corridoio (sporco e infetto, lo so, me lo sento) di un ospedale, con in mano una provetta in cui devo fare una pipì (che non mi viene) mentre dal cellulare esce la voce di un’infermiera impanicata che mi spiega come il primario, a sua volta impanicato, voglia urgentemente un campione della mia pipì (che continua a non venirmi) per escludere una diagnosi, per me, infausta.
Appena riesco ad interrompere quell’isterica che c’è dall’altra parte del filo cerco di spiegarle che almeno per oggi, la mia pipì è, per così dire, prenotata dall’altro laboratorio ma lei ribatte, felice e sollevata, che non le serve la prima pipì della giornata ma la seconda!

Ma pensi lei che fortuna signorina: può ancora darcela!

Dopo aver spiegato alla mia delusa interlocutrice che anche la seconda pipì della giornata è, con mio profondo rammarico, già venduta ad un miglior offerente, mi sento dire:
“Be' ne faccia un po’ in due provette no? La aspetto entro un’ora. Grazie e arrivederci!”
A questo punto, ammetto la mia debolezza, mi verrebbe un po’ da piangere ma prontamente mi ricordo che non è proprio il caso di sprecare la minima quantità di liquido ancora presente nel mio corpo, altrimenti quelle due provette non le riempirò mai! Così mi faccio coraggio e mi alzo da terra, anche perché l’infermiere-gelataio sta tamburellando nervosamente sul bancone e mi guarda impaziente: in fin dei conti, anche per lui è sabato e vuole andarsene a casa.

Uno degli effetti collaterali dell’avere l’esame delle urine come unico metodo diagnostico per monitorare una patologia è che finisce per sembrarti strano fare pipì nel wc perché la fai talmente spesso nei barattoli, anche per giorni interi, che ogni volta che hai lo stimolo devi fermarti a pensare: ok, e oggi dove devo farla?
E questo toglie tutta la spontaneità che il bisogno fisiologico porta con sé.
Un giorno, colta da un' improvvisa necessità proprio mentre ero intenta nell’ennesima gara truccata di macchinine con mio nipote, me ne sono uscita con un :

“Oh no, devo di nuovo fare pipì! Scusa tesoro, ci vediamo dopo.”
A cui lui ha risposto con un intelligente: “Perché non ti metti il pannolino così la fai addosso e possiamo continuare a giocare?”
Anche quella prospettiva mi sembrava migliore del cosidetto “provettone” da due litri che mi porto in giro. Non è che con “in giro” io intenda i centri commerciali o le mostre d’arte, dico solo che se la domenica mia madre mi invita a pranzo io arrivo con la mia…pipì da asporto così non la devo trattenere fino al mio rientro a casa e posso bere quanto voglio!

E’ tutto abbastanza triste e imbarazzante, lo so, ma sono una che si è sentita dire “ora si spogli” in una stanza di tre metri per due affollata di studenti di medicina quindi, signori, ora come ora non mi imbarazza più niente!
Non so cosa mi abbia dato il coraggio, quel giorno, di sfilarmi pantaloni e maglietta davanti a quegli estranei: scartando l’incoscio desiderio di diventare una spogliarellista perché non mi ci vedo proprio (non ho il senso del ritmo, per dirne una), teniamo presente che in quei giorni la soglia del dolore che provavo aveva davvero raggiunto limiti inesplorati e, per fortuna mia, agivo quasi in automatico davanti a dei camici bianchi (dottori, ma anche macellai e gelatai…).
Non ringrazierò mai abbastanza il barbuto medico che mi ha quasi subito iniettato un miracoloso siero dalle proprietà strabilianti: nel giro di pochi minuti non ho più provato imbarazzo per le mie gambe evidentemente non depilate e per la biancheria non del tutto presentabile e avevo solo un vago ricordo delle parole dell’entomologo: “Le faranno una piccola operazione al braccio”. Parole a causa delle quali non avevo pensato che mi avrebbero chiesto di levarmi i pantaloni.

Il resto del tempo, trascorso a farmi armeggiare con bisturi e pinzette nella carne viva tagliuzzando pezzi di muscoli, ce l’ho ancora ben chiaro in mente visto che il “miracoloso siero” aveva una durata molto breve e visto che nessuno dei presenti era in possesso, o comunque volesse generosamente condividere con me, qualsiasi tipo di sostanza stupefacente…quando si dice: la malasanità…

5 commenti:

La Zia va a fare il tagliando in ospedale.

Tenetemi il posto, ragassi.

La Zia in partenza.

09 settembre, 2009  

In bocca al lupo e tranquilla, ti teniamo il posto con decisione!
Un grande abbraccio, ti aspetto.

10 settembre, 2009  

La Zia sgarruppata è tornata e ha qualcosa di nuovo da raccontare, appena se la sente di stare davanti al pc.

Che bello essere a casa.

Quel che resta della Zia.

16 settembre, 2009  

Bentornata, riposati.
Noi ti aspettiamo a braccia aperte.
Intanto ti abbraccio e ti mando tanti tanti bacioni, a presto
4P

16 settembre, 2009  

Assolutamente d'accordo con lei. In questo nulla in vi e credo che questa sia un'ottima idea. Pienamente d'accordo con lei.
Assolutamente d'accordo con lei. L'idea di un bene, sono d'accordo con lei.

24 settembre, 2010  

Post più recente Post più vecchio Home page

Blogger Template by Blogcrowds